Non sono IO

non sono io

IO è solo un attore e nello stesso tempo spettatore

La Terra è il palcoscenico dove ognuno di noi, quindi ogni IO, recita il proprio ruolo in ogni momento della propria vita per continuare ad avere attenzione e consenso da parte degli altri creatori, il nostro pubblico. Siamo contemporaneamente attori e pubblico.

La storia di ognuno è la somma di esperienze, ma non siamo quella storia, per quanto tendiamo a identificarci e a presentarci nei ruoli che usiamo come se tali ruoli fossero ciò che siamo.
Sono dottore, avvocato, muratore, scrittore, disoccupato, felice, depresso, forte, debole, amico, luciano, maria, cattivo, bello, interessante… sono alcuni dei ruoli che recitiamo, quasi sempre inconsapevolmente.

Ci facciamo un’idea di essere con delle caratteristiche che abbiamo assunto nel corso delle nostre esperienze, ma nel presente, l’unico istante che esiste, non siamo più quello che eravamo né ciò che saremo o potremmo essere nel futuro.

Il presente è un istante. È ciò che chiamiamo “qui ed ora”. Nei dizionari troviamo una definizione per istante: “momento brevissimo” ma un istante è privo di durata temporale, e il presente in realtà è fuori dal tempo.

Non c’è spazio per nulla nell’istante se non per la nostra coscienza e il presente è un Vuoto tra il passato e il futuro, fra ciò che eravamo e ciò che saremo, e quel Vuoto privo di esistenza è ciò che paradossalmente siamo, un Vuoto di infinite potenzialità.

In quel vuoto possiamo decidere se continuare ad essere secondo l’idea che ci siamo fatti di noi stessi in base alle precedenti esperienze, oppure di manifestarci in modo completamente nuovo, senza usare modelli basati sulle precedenti esperienze.

Quando pensiamo di noi stessi usiamo la parola IO, ma questo io è l’idea che ci si fa di noi stessi che viene formata dalle esperienze e dall’educazione in un qualsiasi contesto sociale, e nell’ambiente familiare, nel luogo dove si nasce e si cresce, nel tempo e nello spazio.

Se fossi nato a Sparta nel periodo delle città stato avrei un idea di IO o di un me stesso completamente differente da quella che avrei se fossi nato in una tribù nella foresta pluviale.

Identificazione e Risveglio

Nel corso della mia vita sono passato attraverso una serie di cambiamenti, alcuni “casuali”, nel senso che mi sono apparsi tali — ma il caso non esiste — e altri cercati con decisa intenzione quando la vita mi ha sbattuto in faccia situazioni delle quali non desideravo più farvi parte.

E’ un percorso personale, ma per quanto gli eventi siano unici per ognuno, il vivere in questa realtà su questo pianeta a grandi linee è lo stesso per tutti, al proprio passo, con le pause che desideriamo fare, lunghe o brevi, secondo la propria spinta interiore a cambiare.
Prendendo vita associati a un corpo con l’intenzione di continuarla il più a lungo possibile, siamo soggetti alla mente istintiva comune a tutti i corpi animali.

La mente è un meccanismo che apprende dalle esperienze e sviluppa meccanismi di difesa che hanno a che fare con cercare il piacere ed evitare il dolore, in tutte le sue gradazioni, e associamo il piacere al continuare a vivere e il dolore all’andare in direzione della morte.

È ciò che chiamiamo istinto di sopravvivenza, e per gli animali l’IO è l’identificazione nella struttura formata dalle impressioni che si creano rispondendo agli stimoli provenienti dal mondo esterno. L’io coraggioso di un leone e l’ io pauroso di una gazzella sono caratterizzati dalle reazioni alle immagini associate all’esperienza, da emozioni e sensazioni associate alle necessità fisiche al fine di sopravvivere, come l’impulso a correre per sfuggire alla morte o per procurarsi il cibo.

Anche la formazione di branchi ha a che fare con il sopravvivere. In gruppo, animali deboli possono difendersi più facilmente da animali più forti.

Le lotte all’interno dei gruppi per diventarne il leader sono anch’esse motivate dall’istinto di sopravvivenza, garantendo una direzione sicura dove andare e una selezione che rende più sicuro il gruppo.

Lo stesso avveniva nelle tribù primitive quando l’Umanità era giovane.

Questo meccanismo, unito all’ingegno umano, senza fare qui alcuna questione sul suo uso corretto o meno, ci ha permesso di essere ancora qui a raccontarcela.

Ancora ci serve l’istinto, come nel caso di togliere immediatamente la mano da una fonte che potrebbe ustionare, o cercare di scappare se un’auto balza sul marciapiede, e altre situazioni di reale pericolo fisico.

Non essendo minacciati come prima, nella sempre più crescente civilizzazione, abbiamo progressivamente affinato l’intelletto, ma non per il mero scopo di garantirci la sopravvivenza durante eventuali aggressioni da altre specie, ormai marginali.

Usiamo ora più l’intelletto dell’istinto basandoci però sull’esperienza della mente istintiva nel nostro stesso gruppo, l’Umanità, come se ognuno di noi fosse una specie che per sopravvivere deve lottare quasi contro ogni altro essere umano considerato al pari di specie antagoniste.

La mia infanzia

I primi anni erano caratterizzati dalla curiosità. Mi piaceva sperimentare, cercare conferme nel mio nuovo mondo esterno mi rendeva felice.

Mi ricordo la sorpresa quando introdussi i filamenti di una lampadina del presepio nei buchi di una presa a 220 volt e esplose con un bel botto che fece accorrere mia madre, e la sgridata con tutte le avvertenze del caso, di stare lontano dalle prese, la corrente è pericolosa, non mettere più nulla in quei buchi.

Ma non seppe spiegarmi perché invece la lampadina dell’abat-jour non scoppiava e continuai a sperimentare, e imparai a operare su impianti sotto corrente dopo aver scoperto che con un filo alla volta e isolati da terra non si prendono scosse.

Diversamente è andata con l’educazione, prima quella impartitami dai miei genitori e poi quella scolastica, l’indottrinamento dei media e delle autorità. Una volta liberatomi di questo mi rimasero però i vari elenchi di preferenze e repulsioni sui quali basai le mie relazioni con le altre persone.

Gli amici

Chi trova un amico trova un tesoro, ma sappiamo davvero cos’è un amico per definizione? Tutte le definizioni che possiamo trovare nei vari dizionari difettano di una precisazione, se non nella teoria, nell’applicazione pratica: gli amici rimangono tali nella misura in cui le loro caratteristiche continuano a corrispondere alla nostra lista di preferenze.

Molti rapporti di amicizia diventano freddi o addirittura ostili a seguito di esperienze in base alle quali giudichiamo che non era un vero amico e se vogliamo guardare anche nel nostro sacco possiamo vedere che vale anche per noi. Se sei un’eccezione ti chiedo scusa. Ma se davvero non è il tuo caso, nemmeno ti sentirai parte in causa per questa mia generalizzazione.

Entriamo a far parte di gruppi di amici che hanno più o meno i nostri interessi, preferenze e repulsioni. Insieme giudichiamo favorevolmente le persone che ci “assomigliano” e critichiamo chi invece è sulla lista nera delle caratteristiche che non “approviamo”.

Cerchiamo di diventare la persona che riceve maggiore approvazione, assumendo gli aspetti che sono più desiderabili anche se non ci appartengono realmente. Facciamo anche dei favori e dei piaceri, quasi sempre per sentirci persone buone, o capaci, in cerca di riconoscimento e approvazione, non per un reale desiderio di aiuto, anche se lo crediamo, e lo neghiamo quando una persona non corrisponde alle nostre aspettative.

Vale anche nella famiglia, sul lavoro, in politica, nei rapporti di coppia, ovunque.
Genitori che negano supporto ai figli quando fanno scelte diverse da quelle che vorrebbero, relazioni che si interrompono quando sorgono differenze non gradite all’altro partner. Se delle spiegazioni vengono fornite, sono simile a queste: “I nostri caratteri sono incompatibili”, “Siamo troppo diversi”, “All’inizio mostrava solo il bello di sé…”. E altre, la lista sarebbe molto lunga.

Crude osservazioni

Come siamo è una personale valutazione di come vorremmo essere piuttosto che un’osservazione obbiettiva del nostro reale modo di essere.

Per quanto riguarda me, il giorno che ho deciso di guardarmi senza filtri ho visto come ero realmente e mi ha sorpreso di più di quella volta della lampadina del presepio nella presa della 220.

Tutte le certezze su ciò che credevo di essere sono crollate lasciando solo le macerie dopo un terremoto emozionale, e ci ho messo parecchio tempo prima di rimuoverle per guardare chi c’era sotto.

E possibile che possa succedere anche a te di scoprire come non sei, se veramente lo volessi. Basta che osservi cosa non ti piace in altre persone e troverai la stessa cosa anche in te.

Continuiamo ad usare lo stesso meccanismo di risposta ai segnali provenienti dal mondo esterno, temendo che la nostra sopravvivenza sia in pericolo.

Utilizziamo l’intelletto non per scoprire modi di ampliare la nostra coscienza ma per difendere l’IO falso che crediamo di essere.

Le nostre armi in questo ambiente mentale non sono più le zanne o la lancia, ma le critiche, la maldicenza, le bugie, sia rendendone partecipi gli “amici” mentre parliamo alle spalle di altri “amici”, aggiungendo a volte che lo facciamo non per criticare, ma giusto per dire come stanno le cose.

Non è raro esagerare nei dettagli o addirittura inventarne, nutrendo risentimento, critiche e pregiudizi inespressi magari mentre sorridiamo o abbracciamo l’amico o l’amica.

Andiamo anche oltre, riversando lo stesso flusso di sgradevolezze verso ciò che crediamo di essere quando vediamo degli aspetti che non vorremmo che facessero parte del nostro io immaginario.

Non comprendiamo che tutte le caratteristiche che consideriamo nostre sono basate su parametri dettati da una società piuttosto che da un’altra, e non hanno nulla a che fare con ciò che siamo veramente.

Facciamo tutto per assomigliare a dei modelli imposti dalla società di cui facciamo parte, rinnegando ciò che siamo, perché temiamo che la nostra sopravvivenza dipenda dall’essere uguali o migliori di altri.

Mentiamo per sembrare, adottiamo credi che non sono conformi alla nostra vera essenza, sforniamo frasi piene di sentimentalismo privo di sostanza, ci facciamo assorbire da ideologie, religioni, tendenze, mode, status symbol.

Di alcuni siamo stati “amici per la pelle” o avevamo un/a “amico/a del cuore”, e un giorno ci viene chiesto se sono nostri amici rispondiamo: “…una volta, poi è successo che mi ha fatto questo e quest’altro…”

Tutto questo per essere parte di un gruppo, dove a volte si formano gruppetti, e nei gruppetti le coppie ancora più affiatate, in base a una sempre maggiore affinità di preferenze e repulsioni comuni, a causa di una anacronistica necessità di sopravvivere traslata sul piano intellettuale, piano di cui sono privi gli animali.

In questo possiamo dire che gli animali sono più se stessi dell’essere umano condizionato, a parte il neonato che piange quando ha fame, nel quale ancora prevale l’istinto sull’intelletto non ancora sviluppato.

Non sto dicendo che dovremmo vivere come gli animali, “in natura” dormendo fra l’erba dei campi e raccogliendo la frutta dagli alberi spontanei, come mostrano certi video, la vita sulla Terra non è un fine, ma un mezzo per evolvere per arrivare alla soglia al di là del tempo e dello spazio, e tale ritorno al primitivismo con l’iPhone in tasca equivale a eludere l’evoluzione spirituale.

Il cambiamento

A un certo punto della mia vita scandita da momenti di allegria e malcontento, osservando che questi momenti caratterizzavano anche quella delle persone che conoscevo, anche se celata da sorrisi forzati, mi chiedevo se poteva esserci qualcosa di meglio che la vita potesse offrire.

Iniziai a leggere diversi libri di filosofia occidentale e orientale, notando il frequente riferimento all’alternarsi di gioia e dolore come una caratteristica della vita delle persone inconsapevoli, ma per quanto avessi capito a livello intellettuale, il problema era come risolvere questa condizione.

Le soluzioni proposte riguardavano anni e anni di pratica, yoga, zen, buddismo, Gurdjieff, ecc., o ritirarsi dal mondo per evitare gli stimoli esterni.

Passato l’entusiasmo iniziale, nella realtà dei fatti appena uscivo dalla pratica intrapresa di volta in volta, ritrovavo di nuovo quello che ero, e gli stimoli del mondo esterno riaccendevano tutto quanto avevo imparato non a eliminare, ma solo a reprimere.

Avevo smesso di fare il Donchisciotte nelle mie battaglie virtuali contro l’ingiustizia nel mondo, avevo smesso di partecipare a iniziative promosse più da ideologie piuttosto che da reale desiderio di “cambiare il mondo”, ma continuavo ad agire per l’accettazione da parte degli altri di un io fasullo che credevo fosse il mio “vero me stesso”.

Ogni volta che ritrovavo un nuovo “me stesso” si rivelava essere solo un’altra maschera, più sottile e più raffinata, ma sempre una maschera con tutte le qualità dello stesso attore identificato ogni volta in un nuovo ruolo.

Il reale cambiamento è iniziato quando ho “visto” questo aspetto della continua lotta per la sopravvivenza fra i vari ego, entità che di fatto non esiste se non nella nostra mente, una lotta che si svolge sul piano intellettuale, con il più grande dispendio di energia che possiamo immaginare, senza considerare le ripercussioni sull’aspetto fisico.

Il passo successivo è stato osservare questo meccanismo in azione nelle relazioni con le altre persone e riconoscere i miei pensieri, le critiche, i giudizi e pregiudizi, sfavorevoli o favorevoli dettati dalle mie preferenze e avversioni.

Mi sono reso conto che l’interazione con le altre persone era alterata da quei fattori messi in gioco da una presunta minaccia alla sopravvivenza di un IO che ritiene che debba difendersi in ogni momento o mantenere lo status quo in una condizione di equilibrio per impedire che il castello di carte crolli.

Ci sono stati momenti, pochi ancora in verità, dove ho sperimentato la gioia di osservare le persone che passavano senza che alcun pensiero apparisse nella mia mente. Significa vedere veramente la realtà, invece di semplicemente immaginarla costruita sui propri pregiudizi.

E quando passi in una piazza non più come osservatore ma come osservato, evitando di alimentare il flusso dei pensieri meccanici potrai vedere il pregiudizio delle persone sedute fuori dal bar che ti osservano.

Scoprirai che non ti importa cosa le persone pensano riguardo a chi credono che tu sia, indotte da un meccanismo una volta necessario per la sopravvivenza delle specie, ma ormai inutile e mantenuto in funzione dalla propria energia che potrebbe essere impiegata per avere una vita più soddisfacente e più vera.

Anche la comunicazione a due cambia, può succedere di scoprire che stai ascoltando l’altra persona per la prima volta, invece di trovarsi coinvolti nel solito fronteggiarsi di strutture di pensieri prefabbricati dal condizionamento sociale al quale siamo continuamente sottoposti.

Non è comunque facile soprattutto se la tua vita è o è stata comunque intrecciata con quella dell’altra persona per molto tempo, soprattutto se cerchi di appianare una disarmonia e l’altra continua a guardare l’idea che si è fatta di te anni prima e sta lottando per la sopravvivenza del suo io, che è sempre immaginario, come tutti gli io.

Sentiamo le parole che l’altra persona sta dicendo ma prima ancora di capire cosa ha detto, il pregiudizio creato dalle esperienze passate ci ha già fatto trarre conclusioni che non hanno a che fare con la situazione attuale e reagiamo con un’esplosione di risposte.

Forse erano corrette molti anni prima, ma ora sono per lo meno inappropriate e rafforzano il muro dell’incomprensione.

Nessuno ti farà più da specchio se non temi per la “tua” sopravvivenza, ovvero la sopravvivenza del tuo IO immaginario, non ne avrai più bisogno.

All’altra persona l’idea che si è fatta di te continuerà a farle da specchio e lotterà contro la sua stessa immagine riflessa, convinta che tu sia chi minaccia la sopravvivenza di ciò che crede di essere, fino a quando non si renderà conto che ciò che vede nello specchio non sei tu.

Ho avuto solo degli assaggi di come possiamo essere semplici e in armonia senza dipendere dall’universo materiale.

Il percorso è per me ancora lungo, sono un neonato che si muove con incertezza rispetto alle persone liberate che hanno lasciato ovunque e ben in vista tracce per indirizzarci nella giusta direzione, ma non siamo disposti a toglierci le bende del nostro io prefabbricato, e finalmente vedere.

Siamo un Vuoto senza attributi con infinite potenzialità, siamo il Presente senza tempo, l’identificazione con i ruoli della vita ci fa credere di essere il personaggio che stiamo solo interpretando, una delle nostre creazioni.

L’io è un prodotto dell’intelletto, e dovrebbe servire a risolvere problemi pratici. Per il resto del tempo la mente dovrebbe starsene zitta, lasciando spazio al sentire, cosicché possiamo prendere coscienza del mondo intorno a noi, che non è come ci immaginiamo.

Invece continuiamo a vivere in questo mondo tecnologico come i nostri antenati nella preistoria e chiamiamo tutto questo evoluzione, ma per quanto sotto questo aspetto abbiamo fatto incredibili progressi, spiritualmente siamo ancora uomini delle caverne.

Parlo comunque per me, il mio percorso inizia da qui: “Uh?”
“Uh!”

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Di Luciano

In questo settore del tempo la mia identità è Luciano Gianazza