cittadino

La Consuetudine, la benda sugli occhi della Ragione

Quando ero piccolo, la domenica mattina la nonna Iride, armata di coltellaccio, con espressione serafica ci informava sorridendo: “Vado nel pollaio ad ammazzare il pollo per il pranzo di oggi.”

Non era la mia vera nonna, ma negli anni della mia infanzia, quando i muri di cinta non erano ancora stati eretti, le nonne dei coetanei con cui giocavamo diventavano le nonne di tutti.

Normale, alla domenica si mangiava il pollo arrosto. A volte pensavo al significato di ammazzare, togliere la vita, e quella volta che chiesi alla nonna perché dobbiamo ammazzare, mi rispose guardandomi come quando chiedevo cose che riteneva stupide: “E cosa vuoi fare? Mangiare il pollo vivo? Con tutte le penne e le interiora? Crudo?… Valah! Vai a giocare… Che domande!”

Logico! Ha ragione la nonna, se vuoi mangiare il pollo devi ammazzarlo.

Ogni casa aveva un pollaio, o anche una conigliera, una piccionaia… Il gatto girava intorno alla nonna, in attesa di qualche scarto mentre puliva il pollo. E ogni tanto gli tirava qualche pezzo di budella: “Téh! Ciapa! Noiùs d’un gatt!”

Nessuno si poneva la questione se fosse giusto ammazzare, a prescindere. Era incredibilmente consuetudinario, normale. Inoltre se offre il vantaggio di soddisfare la fame, un pollo ruspante allevato a granaglie e i lombrichi che stana, vuoi mettere?… perché complicarsi la vita cercando risposte che potrebbero imbarazzare?

Ora pare che siamo in una era di risveglio delle coscienze, e qualche domanda su cosa sia giusto o meno comincia ad essere posta. E qualcuno comincia a sostenere che non è giusto ammazzare animali per nutrirsene.

E’ da molto tempo che è terminata la servitù della gleba. Un tempo era considerata perfettamente legittima, e di conseguenza giusta.

I servi della gleba coltivavano i terreni che erano dati in concessione dal re ai nobili, pagando un fitto. Inoltre dovevano pagare le decime (qualora il proprietario facesse parte del clero o fosse un ente ecclesiastico) ed erano obbligati a determinate prestazioni di lavoro (corvées). I servi della gleba erano tali per nascita, e non potevano (lecitamente) sottrarsi a tale condizione senza il consenso del padrone del terreno. – da Wikipedia.

Se oggi ti venisse detto che sei nato servo della gleba e devi servire il tuo Signore, ti ribelleresti con tutte le forze rivendicando la tua libertà che ti spetta per diritto di nascita. Ma nel medioevo avresti accettato la condizione, se il destino avesse voluto che nascessi in una famiglia di servi della gleba. Sarebbe stato normale, era la consuetudine.

Oggi nasciamo cittadini.

Cittadino è abitante o residente in uno stato e del quale possiede la cittadinanza avendone i conseguenti diritti e i doveri.

Cittadino e suddito

Il concetto di cittadino differisce da quello di suddito che si riferisce a colui che è soggetto alla sovranità di uno Stato; la condizione del suddito implica, di per sé, situazioni giuridiche puramente passive (doveri e soggezioni), mentre quella del cittadino implica la titolarità di diritti e altre situazioni giuridiche attive (seppur accompagnati da doveri e altre situazioni giuridiche passive).

Sembra che ci sia un avanzamento nella direzione di maggiore libertà, ci sono sempre dei doveri, ma bilanciati da più diritti rispetto ai servi della gleba.

A dispetto del fatto che gli esseri umani nascono liberi, ci sono altri esseri umani che pretendono che vengano ingabbiati nel ruolo di cittadino e che diano a loro buona parte del frutto della propria creatività, in cambio di servizi che non sono stati richiesti. Se viene concessa una qualche alternativa per provvedere ai propri bisogni da sé, invece che gestiti dallo stato, il fitto va comunque pagato.

Chiamale tasse, chiamalo debito pubblico, chiamalo come ti pare. Questo è illogico e ingiusto.

Non viene chiesto di diventare cittadini, né se ci si vuole fare carico degli oneri conseguenti, non importa come si voglia giustificare il prelievo forzoso.

Ci sono due casi in cui non puoi sottrarti all’inserimento nella gabbia della cittadinanza:

In virtù dello ius sanguinis (diritto di sangue), per il fatto della nascita da un genitore in possesso della cittadinanza ;

In virtù dello ius soli (diritto del suolo), per il fatto di essere nato sul territorio dello Stato;

In pratica non hai scampo.

Ma è consuetudine, appare così normale che uno diventi automaticamente cittadino, un concetto che non esiste in natura, che nessuno si chiede se sia etico e giusto e se questa pratica di inserimento nella gabbia della cittadinanza dovrebbe essere messa in discussione.

Esiste anche l’aspetto della convenienza. C’è chi trae vantaggio dal fitto e dalle decime che il cittadino viene costretto a pagare. E’ sufficiente che rendi uno partecipe di una fetta di quanto viene rubato, che non avrà nulla da ridire sul comportamento del ladro.

Come per il pollo ammazzato dalla nonna.

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